Stefano Rodotà, al culmine di una carriera divisa tra attività accademica (1) e attività politica (2), ha inteso intraprendere un percorso di analisi e approfondimento filosofico, etico e giuridico sul riconoscimento e sulla tutela dei diritti fondamentali della persona in un periodo connotato da forti conflitti e opposizioni.
L”opera, edita da Laterza, si intitola “Il diritto di avere diritti”, esplicito richiamo ad Hannah Arendt, che ne “Le origini del totalitarismo” sancì che “il diritto ad avere diritti, o il diritto di ogni individuo ad appartenere all”umanità, dovrebbe essere garantito dall’umanità stessa” (3).
Nel nuovo mondo globalizzato, si assiste infatti a un”incessante e dinamica mutevolezza del regime dei diritti, i quali, allo stesso tempo, scompaiono, si reinterpretano, proliferano e si impoveriscono, attraverso la loro negazione. In questo contesto, però, caratterizzato dal dissolvimento dei confini territoriali, i diritti appaiono orfani di tutele garantite dalle sovranità nazionali e prestano il fianco a pericolose soggezioni, promosse in nome della sicurezza collettiva e dello sviluppo del mercato e dell’economia.
È proprio in questa attualità che, secondo Rodotà, la stessa cittadinanza cambia natura e rappresenta l”insieme dei diritti costituenti il patrimonio di ogni persona, indipendentemente dalla sua provenienza. Iniziamo ad assistere a pratiche comuni dei diritti, che non sono il frutto di un”educazione forzata imposta dall’Occidente, ma che, al contrario, coinvolgono l”intera umanità: donne e uomini, a partire dall’Africa per giungere in Oriente, si mobilitano, anche attraverso i nuovi mezzi tecnologici di telecomunicazione elettronica, per il riconoscimento e la tutela dei diritti fondamentali. Non più astrattezza, dunque, ma attenzione alle situazioni concrete e ai bisogni delle persone.
Rodotà evidenzia come i diritti fondamentali necessitino di essere spogliati dalle strumentalizzazioni che ne hanno accompagnato la storia e come, invece, scalzando i mercati, essi stessi possano rappresentare il miglior strumento per regolare la globalizzazione.
Si tratta di un diverso realismo, in qualche modo plasmato da quella che l”Autore chiama “narrazione dei diritti”, che attraversa tutta la prima parte della sua opera. Seguendola, possiamo scorgere tutte le dinamiche attuali e future, per le quali Rodotà richiama un termine forte come “rivoluzione”. Ci parla, difatti, di “rivoluzione dell’eguaglianza”, rimasta incompiuta e oggi accompagnata dalla “rivoluzione della dignità”: insieme, esse creano una nuova antropologia, che invoca l”autodeterminazione delle persone, la costruzione di identità individuali e collettive e le responsabilità pubbliche.
Nuove dinamiche, inoltre, investono la proprietà, con la cosiddetta “rivoluzione dei beni comuni”, che ci spinge oltre la storica contrapposizione tra proprietà privata e proprietà pubblica, e pone l”attenzione sull”aria, sull”acqua, sul cibo e sulla conoscenza. Allo stesso tempo, sono entrate a far parte del quotidiano – e ci accompagneranno nel futuro – anche la “rivoluzione della tecnoscienza” e la “rivoluzione di Internet”, capaci di ridisegnare i confini umani, i rapporti tra umano e non umano e quelle che l”Autore definisce le nuove vie di un costituzionalismo globale possibile.
Rodotà ha l”invidiabile capacità, ma soprattutto il merito, di prendere per mano il lettore e accompagnarlo lungo questa narrazione. E mostra, in particolare, il fenomeno della cancellazione e della ridefinizione dei confini. A partire dal diritto di cittadinanza, “la garanzia dei diritti non può venire da un rinnovato rinserrarsi nei confini nazionali, né scaturire da automatismi, da una «natura» libertaria della rete”. La stessa unità fisica non rappresenta più il limite ultimo del corpo della persona, arricchito ormai dal corpo elettronico, ossia da tutte quelle informazioni del soggetto distribuite nel mondo, e da quelle parti del corpo biologiche costituite da embrioni, cellule, tessuti, gameti, ecc.
Si attraversano, dunque, nuovi spazi e territori. Si va necessariamente al di là degli Stati Nazionali. Adesso i diritti fondamentali diventano oggetto di attenzione dai vari soggetti che esercitano sovranità nello spazio globale, fra cui – per quanto di nostro interesse più vicino – la stessa Unione Europea. Allo stesso tempo, però, forze opposte spingono verso un controllo sempre maggiore e capillare sugli individui e sulle collettività, in nome della loro sicurezza e facendo leva su vere e proprie politiche della paura.
Proprio la stessa Unione Europea ha inteso rinnovarsi, passare da un”Europa dei mercati a un”Europa dei diritti, la regione del pianeta che, più di tutte le altre, riconosce diritti e libertà delle persone. Ciò è stato compiuto grazie alla stesura, nel 2000, della Carta dei diritti fondamentali e all”attribuzione alla stessa, con il Trattato di Lisbona del 2009, del medesimo valore giuridico dei trattati comunitari, pur conservandone il carattere autonomo, sottratto alle mutevoli dinamiche politiche. Una Carta, questa, che ha il pregio di abbandonare la tradizionale distinzione dei diritti per generazioni e di affermare solennemente l”indivisibilità degli stessi, che siano quelli civili, politici, sociali o i più recenti, legati all”innovazione tecnologica e scientifica, all”ambiente e allo sviluppo sostenibile. Viene posta la «persona al centro dell”azione», come ci ricorda il Preambolo della Carta: è, questo, il dichiarato allontanamento dall”astrattezza, che sposta l”Unione Europea su quello che Rodotà definisce il “costituzionalismo dei bisogni”, che connota ormai le carte costituzionali più recenti. Ci si muove da un contesto nel quale i diritti erano riconosciuti solo formalmente per confluire in uno più avanzato, dove a tale riconoscimento si affiancano le necessarie azioni attuative.
Il nuovo mondo dei diritti, come lo qualifica l”Autore, non vede un loro tramonto, una loro subordinazione alle logiche e agli interessi del mercato. È, al contrario, la loro reinvenzione che consente di respingere queste dannose tendenze. Si deve parlare di una pluralità di diritti, di un patrimonio comune dell’intera umanità, che per trovare la propria garanzia e soprattutto la propria attuazione si affida sempre più al potere giurisdizionale. I giudici diventano gli arbitri, i garanti della compatibilità dell’agire privato con il nuovo sistema governato non più dai codici, ma dai principi fondamentali sanciti dalle costituzioni. Rodotà riconosce questo inedito stato di fatto, concludendo
“che lo stesso strumento principe dell’esercizio del potere privato nella materia patrimoniale, il contratto, non può fare astrazione dalle logiche non proprietarie presenti nell’ordinamento e che il controllo di questa conformità è affidato al giudice. Siamo così di fronte a una distribuzione di potere giuridico e sociale tra tre soggetti – legislatore, privati, giudice”.
A fronte di una realtà che vede il tentativo di affermarsi di una nuova lex mercatoria, senza il filtro delle istituzioni politiche, ma attraverso i tipici strumenti produttivi delle regole giuridiche, diventa dunque fondamentale il ruolo svolto dai legislatori e dai giudici. Rodotà è chiaro e deciso nell’indicare la via da seguire: l”alleanza tra legislazione e giurisdizione.
“La garanzia giuridica si può ritrovare nelle possibilità d”intervento delle corti, la cui azione è tanto più concreta e legittimata quanto più riesce a trovare sponda nei diversi elementi o frammenti, che contribuiscono a costruire i tratti di un costituzionalismo globale”.
L”analisi dell’Autore, però, non limita a questo. Si allarga, anzi, fino a coinvolgere anche la proprietà, ciò che appartiene o dovrebbe appartenere agli uomini. E così introduce una nuova classificazione dei beni, archiviando la vecchia, manichea, contrapposizione tra pubblico e privato: adesso, all”orizzonte, si stagliano i beni pubblici, i beni privati e soprattutto i beni comuni. Questi ultimi, in particolare, sono i beni a titolarità diffusa, che appartengono a tutti e a nessuno, accessibili all”umanità intera e sui quali nessuno può arrogarsi potestà o pretese esclusive. Lo stesso accesso a tali beni assume il carattere di diritto fondamentale della persona, quello che Rodotà definisce il “tramite necessario tra diritti e beni, sottratto all”ipoteca proprietaria”. Si pensi solo al diritto di libero accesso all”acqua, al cibo, ai farmaci, a Internet.
La considerazione più innovativa è costituita, probabilmente, proprio dal qualificare il diritto di accesso alla rete come diritto fondamentale, come condizione necessaria per l”effettività di altri diritti, primi fra tutti la libera costruzione della personalità, la libertà di espressione e la conoscenza. Nel mondo globale, nel mondo interconnesso chiunque ha la possibilità – almeno in potenza – di esprimersi, di acquisire conoscenze, diffondere informazioni e idee, esercitare il diritto di critica e partecipare, dunque, alla vita pubblica e sociale. Allo stesso tempo, però, si è assistito a una contraddittoria tendenza limitativa, contraddistinta dal diritto d”autore, utilizzato come strumento limitativo di questo flusso di espansione della conoscenza. È necessaria, dunque, una riconsiderazione di quegli strumenti e istituti giuridici – come, per l”appunto, brevetto e diritto d”autore – che impediscono un pieno accesso alla conoscenza. Prim’ancora di giungere a un eventuale abbandono del sistema del diritto d”autore – richiesta dai più estremi – già spiccano attualmente altre soluzioni meno radicali, ma sicuramente già sufficientemente adatte a garantire un equilibrio più democratico, come i creative commons. Quale che sia lo strumento scelto, l”obiettivo da raggiungere è il libero accesso alla conoscenza, vero baluardo di una effettiva democrazia, garantendo la trasparenza e la diffusione e il rafforzamento dello spirito critico (basti solo citare, come esempio ormai noto ai più, Wikileaks).
La connessione tra beni comuni e diritti fondamentali, dunque, rappresenta la strada da seguire, o, come sostiene Rodotà
“una decisiva opportunità per affrontare la questione essenziale di uno “human divide”, di una diseguaglianza radicale che incide sulla stessa umanità delle persone, mettendo in discussione la dignità e la vita stessa”.
È proprio la persona, con la sua dignità, a essere posta sotto la lente d”ingrandimento nella seconda parte del libro. Infatti, il passaggio forse più importante, in questo nuovo costituzionalismo, è proprio quello che va dalla figura astratta del soggetto alla sua concretizzazione nello stesso sistema giuridico, nella realtà. Dall’individuo alla persona. Non si ha, però , con tale processo una sostituzione di una nuova figura unitaria rispetto a quella precedente. Bensì, attraverso il riferimento alla persona si dà rilevanza, nell’ordinamento giuridico, alle varie figure soggettive calate in contesti diversi: il lavoratore, il bambino, l”anziano, il portatore di handicap. Se, dunque, la vecchia nozione di soggetto era portatrice, con la sua astrattezza e unitarietà, di neutralità e indifferenza, con la persona si dà rilevanza ai dati della realtà. Analogamente, si ha un passaggio da un concetto statico a una struttura giuridica dinamica, che accompagna lo sviluppo della personalità ed è tutta incentrata sul riconoscimento e sulla valorizzazione della dignità. Non a caso, Rodotà parla proprio di homo dignus, con la sua umanità, la sua ricchezza, imprevedibilità e libertà.
La dignità, secondo l”Autore,
“si realizza attraverso un processo, al quale concorrono il potere di governo della persona interessata e il dovere che incombe su chi deve costruire le condizioni necessarie perché le decisioni di ogni persona possano essere prese in condizioni di libertà e responsabilità”. Deve essere dunque garantita a ciascuna persona la possibilità di vivere con piena dignità, attivandosi, la società stessa, per l”eliminazione di quei fattori impedienti e per la soddisfazione delle più essenziali necessità umane. “La vita degna di essere vissuta, allora, è quella che la persona autonomamente costruisce come tale”.
Associati ad essa, poi, si presentano diritti come quello alla verità, quello all”esistenza che vada al di sopra del minimo vitale e soprattutto il diritto all”autodeterminazione. Autodeterminazione nella vita e nel corpo, come ci ricorda Rodotà, che rappresenta la summa della libertà esistenziale. È la persona – e anche le Corti sono finalmente giunte alla cristallizzazione di tale massimo principio – ad essere sovrana della propria vita e della propria salute, sia con riferimento ai generici interventi medico-chirurgici, sia alle scelte di fine anticipata dell’esistenza, evitando l”accanimento terapeutico, sia, infine, riguardo alle tecniche di procreazione assistita. È alla persona, dunque, che devono essere forniti gli strumenti per tutelarla contro i poteri invasivi del suo corpo (e il biodiritto interviene proprio in tale direzione).
La terza e ultima parte, infine, intitolata “La macchina”, assume come oggetto principale d”esame il rapporto tra uomo e macchina. Con lo sviluppo delle nuove tecnologie si ha, parallelamente, la produzione di una vera e propria nuova antropologia, un ordine sociale e giuridico nel quale le macchine rivendicano una propria autonomia e, con l”uomo, tendono a compenetrarsi. Rodotà afferma, difatti, che
“tra persona e macchina si stabilisce un continuum: riconoscendolo, il diritto ci consegna anche una nuova antropologia, che agisce sulle categorie giuridiche e ne modifica la qualità. La riservatezza, qualità dell’umano, si trasferisce alla macchina”.
In questa nuova dimensione tecnologia, muta la stessa identità della persona, che apre il fianco a controlli ed elaborazioni esterne, in base a come è strutturato l”ambiente in cui si vive. Non solo dipendenza da altre persone, ma anche e soprattutto dagli oggetti, dalle cose adoperate per modificare il corpo stesso.
Ciò comporta una vera e propria rivoluzione dell’identità, in un periodo tumultuoso, nuovo, connotato dal proliferarsi di profili personali, dall’intelligenza artificiale, dal cloud computing, dall’autonomic computing. Un presente permeato soprattutto dall’importante realtà di socializzazione del Web 2.0 e dallo svilupparsi di quello che Rodotà già chiama Web 3.0, e cioè l”Internet delle cose, degli oggetti dialoganti tra loro e in grado di scambiarsi e fornire i dati riguardanti le persone.
L”Autore invoca una reinvenzione della privacy, un tentativo strenuo di mantenere ben saldo il controllo sulla propria sfera privata, cercando di individuare e promuovere strumenti che tutelino le persone contro le invasioni esterne. E, parimenti, ritiene di fondamentale rilevanza il ruolo che deve assumere il diritto nella delicata gestione del rapporto tra umano e tecnologia, sempre più instradato nell’alveo del cosiddetto post-umano.
Internet, in particolare, divenuto in breve tempo lo strumento privilegiato di accesso alla conoscenza, necessita di una regolamentazione chiara, garantista e di tutela della democrazia e dei diritti fondamentali e della sua stessa neutralità.
Non si può, però, secondo Rodotà, lasciare l”incombenza o la semplice iniziativa, da una parte, ai governi nazionali, poiché è proprio da loro che provengono le maggiori insidie per la rete e per la sua libertà, né, dall’altra parte, ai soggetti privati, che offrono solo le garanzie compatibili con i loro interessi.
È necessario, quindi, seguire il percorso di un costituzionalismo globale, nella prospettiva di una ricostruzione del rapporto tra sfera pubblica e sfera privata, favorendo un dialogo tra tutti i protagonisti, secondo un modello “wiki”, tra pari e senza inique imposizioni verticali.
Scheda del libro:
Autore: Stefano Rodotà.
Titolo: Il diritto di avere diritti.
Editore: Editori Laterza.
Anno: 2012.
(1) Stefano Rodotà ha insegnato nelle università di Macerata, Genova e Roma La Sapienza, dove attualmente è professore emerito di Diritto Civile.
(2) In particolare, Stefano Rodotà ha ricoperto il ruolo di primo Presidente dell’Autorità garante per la protezione dei dati personali e di Presidente del Gruppo di coordinamento dei Garanti per il diritto alla riservatezza dell’Unione Europea, oltre ad aver partecipato alla stesura della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.
(3) Cfr. H. Arendt, Le origini del totalitarismo [1951], trad. it. di A. Guadagnin, Comunità, Milano, 1996, p. 413.